Il primo figurino militare o “soldatino”, risale a circa quattromila anni fa. E’ stato rinvenuto nel corredo funebre del principe Emsah (Alto Egitto, XII dinastia). Una “storia” lunga e affascinante, che merita di essere conosciuta
di Federico Formignani
Luigi Bonaparte (1778-1846) |
Per gli studiosi di antiche civiltà non vi sono dubbi: quelli di Emsah, come altri di diversa provenienza, sono “figurini” e non “soldatini”, in quanto non rappresentano alcun momento ludico, ma solo una fedele testimonianza celebrativa delle imprese militari, di un condottiero o di un re.
Non potendo seppellire con il defunto la sua intera armata, si era giunti ad un compromesso più ragionevole, ma non meno efficace. Va aggiunto che in archeologia, come in genere nella storia dell’arte, il termine “giocattolo” è usato malvolentieri, proprio perché ricondotto a un passatempo infantile, anche se fino a tutto il XVIII secolo e oltre, la parola “giocattolo” era in uso nelle corporazioni dei mestieri per indicare ogni sorta di oggetto che riproducesse, in scala ridotta, ciò che nella realtà si presentava di dimensioni ben più rilevanti.
Si trattava spesso di veri capolavori, eseguiti più per stupire che per reali necessità d’uso. Prova ne sia che Anatole France definì la bambola dell’antichità come “idolo minore”. Semplice il raffronto che ne deriva: “bambole” per le femmine, “soldatini” per i maschi.
Giocattoli per re e nobili
Armata di Emsah a parte, per quattromila anni circa e più esattamente fino all’anno 1775, il soldatino appare raramente nella storia del costume e con caratteristiche e funzioni non sempre chiare.
E’ sicuramente associato a re, principi e signori, complemento dei loro giochi infantili o precoce esemplificazione di futuri ruoli dinastici, quali la pratica dell’arte della guerra. Essendo altolocati, in linea di massima, coloro che li usavano per svago o per simulare schieramenti e battaglie, questi oggetti dovevano soddisfare anche la vista e il tatto di chi li possedeva; ecco allora che nel costruirli venivano impiegati materiali preziosi quali l’oro, l’argento, l’avorio, le pietre preziose.
I nomi di così illustri committenti o destinatari sono eloquenti in proposito: Maria De Medici, un paio di Luigi di Francia, Massimiliano I d’Asburgo, Delfini e Infanti più o meno titolati.
Allevi/Giumelli, Murat, oro |
La bottega di Norimberga
Le caratteristiche di questi oggetti perdono un po’ della loro aristocrazia quando nell’anno 1775, che segna l’inizio vero e proprio della storia del soldatino, Johann Hilpert imprime la svolta decisiva.
Nella piccola fonderia di oggetti di piombo che possiede a Norimberga – un tipo di artigianato diffuso allora come oggi in Baviera – realizza una serie di quaranta tipi di soldatini prussiani in lega di piombo, alti circa sei centimetri. Ne produce in grandi quantità e li vende a poco prezzo; sono figurine piatte dal rilievo appena accennato, ma ricche di movimento e dipinte con colori vivaci.
E’ un successo travolgente, al punto che pochi anni dopo, nella stessa città, troviamo iscritti nella “Guida dei Fabbricanti” di giocattoli ben otto fonditori di soldatini.
La fortuna di Hilpert e del “soldatino” che produce non è solo figlia della novità.
Ufficiale d’Ordinanza dell’Imperatore, Vienna 1809 |
Gran parte del merito di tale successo va ascritto a Federico II di Prussia, il Re soldato che con le sue imprese militari, aveva risvegliato nei suoi sudditi la coscienza e l’orgoglio nazionale che la Guerra dei Trent’anni aveva frantumato.
Tutto quello che è “militare” diviene fiducia, sicurezza e protezione, così come gli ammirati e giganteschi Granatieri di Potsdam suggerivano alle anime semplici del popolo. I “soldatini” di Norimberga diventano così un’efficace veicolo di promozione, nell’intera Europa, dell’immagine militare prussiana, Federico in testa.
Soldatini, il prestigio dell’uniforme
Murat a Marengo, realizzato da Piersergio Allevi |
L’interesse della gente aumenta anno dopo anno, non solo per i prezzi tutto sommato accessibili di questi minuscoli “militari”, ma soprattutto per la crescente attrattiva che suscita il complesso e spettacolare elemento della guerra.
La varietà e lo splendore delle uniformi, la consapevolezza di appartenere non più ad un semplice gruppo sociale, ma ad un più vasto e coeso gruppo nazionale, abbagliano e nel contempo nascondono altre e più nascoste miserie. Spesso si tentano i giovani con volantini che riproducono le splendide divise alle quali ogni straccione, e ve ne sono molti, ritiene di aver diritto una volta arruolato nell’esercito del re.
L’armata napoleonica, ad esempio, nuova per concezione militare e carica di prestigio, suscita grande ammirazione per lo splendore e la ricchezza delle proprie uniformi; indossarla diventa un obiettivo di molti, dimenticando il non trascurabile particolare della coscrizione obbligatoria.
Per tutti questi e mille altri motivi, da quel fatidico 1775, imponenti eserciti di piombo, stagno, carta e cartapesta si riversano sull’intera Europa, varcando montagne e persino oceani, fino al nuovo continente. I fabbricanti, così come le tipologie di soldati prodotti, si moltiplicano sino ad assumere spesso veri e propri caratteri nazionali. Lucotte, Heinrichsen, Heyde, Mignot, sono solo alcuni dei nomi di famosi artigiani, lungo un arco di duecento anni.
La guerra “vera”.
Una battuta d’arresto
Autocostruzione di Marco lo Martire, intitolata “Il west” |
Con la Prima Guerra Mondiale, il mondo dei “soldatini” subisce un brusco arresto. Avviene che negli anni successivi alla cessazione delle ostilità, il soldatino viene trascurato dai bambini, rapiti da nuovi giocattoli: treni, automobili, aeroplani meccanici. La velocità, nuova dea, riesce a trasferire l’eroismo di una carica di Cavalleria nella temerarietà di una più innocua e inconsueta sfida automobilistica.
Non va poi dimenticato che durante il periodo bellico il soldatino era letteralmente sparito dalla circolazione, a causa dell’enorme richiesta di metallo, soprattutto di piombo, per fabbricare armi e strumenti di guerra. Defunto come gioco, il soldatino riappare però ben presto come forma di collezionismo. Di fatto, dagli anni Trenta, il collezionismo assume caratteri di fenomeno crescente giungendo, in cinquant’anni, alla sua più completa definizione.
Mini-Soldati, passione diffusa
Colonnello Antonio Napoletano, Regno di Napoli 1813 |
Chi non ama i soldatini potrà magari chiedersi se una figurina di piombo, alta pochi centimetri, valga tanti discorsi e quattromila anni di storia; materia per psicologi!
Per gli altri si può tentare di fornire una semplice spiegazione. In anni di più o meno completa “globalizzazione”, con l’appiattimento di certe aspirazioni individuali e con l’imposizione di ritmi ripetitivi tali da scoraggiare, se non frustrare, quella sorta di “tensione eroica” che è propria della natura umana,
il “soldatino” rimane l’ideale interprete di improponibili battaglie, fantastica interpretazione degli avvenimenti umani, in bilico tra eroismo e disperazione, disciplina e ribellione, gratificazione individuale o di gruppo.
Alla fine, simulacro di una improbabile individualità o giocattolo di un’infanzia mai perduta?
Lo “scultore” di soldatini
Piersergio Allevi |
Piersergio Allevi, al quale si debbono le note di base del testo rielaborato nel presente articolo, è nato a Monza nel 1960 e si è laureato in architettura presso il Politecnico di Milano nel 1985, con una tesi sulle “macchine belliche da getto medievali”.
Fin dagli anni degli studi universitari si dedica alla storia dell’oggetto bellico dal punto di vista formale e funzionale.
Dal 1980 lavora, come scultore di soldatini storici, per ditte del settore sia nazionali che estere e dal 1986 è l’oplologo (dal greco “hóplon”, arma) esperto del settore armi e armature antiche del Castello Sforzesco di Milano e per le uniformi storiche del Museo del Risorgimento di Milano.
È autore dei cataloghi delle “raccolte” di armature, armi bianche e da fuoco del Castello Sforzesco e di vari saggi su armi e costumi militari, dal Medioevo al Risorgimento.
Quali “Soldatini”.
Note di Piersergio Allevi
Colonnello de Laborde, 8° Ussari, Francia 1809 |
Sono le “note” trasmesse dall’architetto Allevi e relative ai “soldatini” da collezione che, in linea di massima, si dividono nelle seguenti categorie:
Soldatino Toy – Si rifà al vecchio soldatino-giocattolo; viene venduto già montato e colorato e non è molto preciso nei particolari, perché deve ricordare quelli di un tempo. In teoria andrebbe (soldi permettendo) collezionato in grandi numeri per
riprodurre intere formazioni militari.
Soldatino da Wargame – Si presenta in scala e dimensioni molto piccole.
La misura più usata è il 25 mm.; viene venduto solitamente grezzo e poi dipinto. Questi soldatini servono per realizzare riproduzioni in scala di antiche battaglie, fissate in un determinato momento dell’azione, oppure per “rigiocare” una certa battaglia secondo regole e manuali che si rifanno a quelli dell’epoca.
Model Soldier – Sono venduti in parti scomposte (braccia, gambe, armi ecc.)
Chi li compra deve montarli e dipingerli come si usa per il modellismo
classico di macchinine, aeroplanini e carri armati.
Il divertimento sta nel realizzare il soldatino il più possibile preciso o addirittura, se possibile, iperrealista. Tutto sta nella manualità.
Un settore a parte è quello dei soldatini venduti con fascicoli nelle edicole.
In questo caso si tratta di realizzare collezioni a basso costo, conseguentemente a scapito della qualità.
Pezzi Unici – E’ un settore che si stacca da tutti gli altri ed è destinato ai collezionisti.
In questo caso si tratta di auto-costruire, cioè di scolpire un soldatino (a
volte aiutandosi con piccole parti già in commercio) che deve essere, ad opera compiuta, assolutamente unico e non riproducibile
Infatti la scultura viene direttamente dipinta, nel modo più realistico e accurato, non riprodotta e venduta direttamente al collezionista che ha richiesto quel determinato pezzo.
Si tratta di soldatini di altissima qualità sia scultorea che pittorica, frutto di minuziose, accurate e persino maniacali ricerche storiche sull’uniforme da riprodurre.
Come nasce un soldatino
Piersergio Alllevi nel suo studio |
Ce lo racconta lo stesso “oplologo”!
“Per quanto mi riguarda io scolpisco soprattutto i “pezzi unici”, che sono quelli che più mi iacciono e divertono, pur se si tratta di lavoro.
Ho scolpito soldatini anche per tutte le altre categorie descritte, avendo iniziato nel 1972/73 e a livello più o meno professionale, nel 1980 circa. Non c’è quindi settore del mondo dei soldatini che non abbia indagato.
Per me il soldatino rappresenta soprattutto la scusa per compiere ricerche storiche; la fase successiva è quella di concretizzarle in forma tridimensionale. Per realizzare un soldatino di serie, occorre scolpire il soldatino prototipo (master) utilizzando solitamente stucchi epossidici. Il soldatino può essere fatto in parti separate o in monoblocco (secondo le difficoltà di stampaggio e relativi sottosquadra). Viene poi inserito uno stampo in gomma vulcanizzata, dopo di ché si apre lo
stampo si toglie il master, si realizzano i canali di colata sullo stampo e questo viene richiuso ed inserito in una macchina da fusione a centrifuga. La lega di piombo viene fusa dalla macchina, colata e “sparata” nello stampo grazie alla centrifuga; a questo punto si apre lo stampo, si estrae il
soldatino e le sue parti che vengono imballate e inscatolate.
In questo modo si possono poi realizzare centinaia di pezzi; in genere tutti i soldatini in commercio derivano da questo procedimento.
Esistono anche soldatini realizzati in particolari resine epossidiche, ma sono una parte minoritaria del mercato; per contro, non esistono quasi più i soldatini in plastica flessibile che si usavano ai miei tempi per giocare.
Se è ancora attuale il gioco dei soldatini? Purtroppo i bambini e i ragazzi del duemila preferiscono i “mostri” giapponesi, i videogiochi e le play-station.
Ma non sanno quello che si perdono!