Il Ducato di Savoia nella Guerra della Lega di Augusta
La Grande Alleanza contro la Francia del Re Sole
Per contrastare le pretese egemoniche di Luigi XIV, in particolare le sue mire espansionistiche sui Paesi Bassi spagnoli e i ripetuti tentativi di far eleggere personaggi a lui graditi al soglio imperiale germanico, si era costituita, nel luglio del 1686, la Lega di Augusta. Promossa dagli elettorati di Brandeburgo, Baviera e Palatinato, ad essa aderirono successivamente vari altri principati tedeschi, l’Olanda, la Svezia, la Danimarca, la Spagna, lo Stato Pontificio e, nel 1689, anche l’Inghilterra. Prese forma in tal modo una “Grande Alleanza” in funzione antifrancese.
Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, aveva allora soltanto 24 anni e si era da poco liberato dalla tutela della madre, Giovanna Battista di Savoia Nemours convinta fautrice di una politica filo francese. Il Re Sole condizionava pesantemente la politica sabauda anche col possesso delle munite piazzeforti di Pinerolo, Exilles e Casale. Non è un caso che Vittorio Amedeo II avesse sposato Anna d’Orleans, figlia di Filippo, unico fratello di Re Luigi.
In vista del conflitto che si andava delineando, consapevole della sua delicata posizione, il duca di Savoia non poté evitare di schierarsi con il re di Francia, su istigazione del quale aveva anche ripreso la guerra contro i Valdesi. Ma la “volpe savoiarda” meditava in cuor suo di mutare alleanza alla prima favorevole occasione, passando con gli alleati che da tempo lo blandivano. Obiettivo del duca quello di assicurarsi una maggior autonomia strappando all’invadente vicino proprio quelle piazzeforti al di qua delle Alpi che costituivano una costante minaccia per il suo governo.
Le trattative (segretissime?!) con gli esponenti dell’Impero e del Regno di Spagna si protraggono per quasi tre anni (1687/1690). I sudati accordi sono finalmente sottoscritti il 4 giugno 1690. Vittorio Amedeo II avrebbe ricevuto in aiuto un’armata spagnola dal ducato di Milano; truppe avrebbe mandato anche l’Imperatore Leopoldo I, mentre Olanda e Inghilterra avrebbero sostenuto finanziariamente lo sforzo bellico del piccolo stato sabaudo impegnato contro il colosso francese.
Ma i Francesi (che da tempo sospettavano!) non indugiano. Nicolas Catinat, uno dei migliori comandanti dell’epoca – per le sue vittorie sarà nominato Maresciallo di Francia – , già si trovava in Piemonte con un esercito, impegnato nella lotta contro gli eretici Valdesi (battaglia della Balziglia del 24 maggio 1690). Sino all’ultimo aveva consigliato il duca sabaudo a restare fedele al Re Sole, o almeno a conservarsi neutrale. Non appena il tradimento è consumato, il marchese di Luvois, ministro della guerra francese, emana l’ordine perentorio: “Brulez, brulez bien leur pays!”.
Fedeli alla consegna, le truppe francesi si abbandonano a incendi e saccheggi intorno alla capitale sabauda. Luserna, Orbassano, Rivalta, Grugliasco, Rivoli, Buttigliera sono segnate col ferro e col fuoco dall’esercito di Catinat.
I Piemontesi, soldati e contadini, a loro volta rispondono con arditi colpi di mano, attacchi a convogli e gruppi di soldati isolati, provocando perdite numerose e parecchi grattacapi al comando francese.
Solo dopo l’arrivo dei primi rinforzi spagnoli (7.500 fanti e 2.500 cavalieri) e un contigente imperiale agli ordini del cugino Eugenio di Savoia, il duca Vittorio Amedeo ritiene di poter affrontare i Francesi in una battaglia aperta. Siamo nel mese di agosto 1690. Il Catinat, dopo aver assediato a distrutto Cavour decide di muovere verso Saluzzo, in cerca di nuove terre da spogliare e depredare. Vittorio Amedeo II, informato dei movimenti nemici, decide di abbandonare il campo trincerato di Villafranca per sorprendere i Francesi durante la marcia. Ma la manovra non riesce. È anzi il Catinat, già nei pressi di Saluzzo, a fare dietro front per attaccare le truppe alleate piemontesi e imperiali nei pressi dell’abbazia di Staffarda. È il 18 agosto e sarà una cocente sconfitta per il duca di Savoia.
L’assedio di Pinerolo
Seguono due anni di guerra senza scontri decisivi, ma che prostrano duramente il territorio piemontese percorso e devastato dalle truppe nemiche. Ad una ad una cadono le fortezze savoiarde: Susa, Villefranche, Nizza, Montmeliàn.{xtypo_quote_right} Il Maresciallo Nicolas de Catinat e il principe Eugenio di Savoia, militando su opposti fronti, riempirono dei propri successi le cronache militari tra la fine del ‘600 e i primi decenni del ‘700.
Nel corso dei molti e lunghi conflitti che opposero la Francia all’Impero Asburgico, non furono molte le occasioni in cui i due condottieri vennero a confronto diretto. In quel momento il Catinat, più anziano, era già al culmine della sua fama, mentre Eugenio ancora non aveva ottenuto le sue vittorie più celebri. Le battaglie che li videro fronteggiarsi ebbero tutte luogo in Italia. In Piemonte: a Staffarda (18 agosto 1690) e alla Marsaglia (4 ottobre 1693) durante la Guerra della Lega di Augusta. In ambedue le occasioni Catinat risultò vincitore. Va detto, però, che in entrambi i casi Eugenio non aveva il supremo comando, operando in qualità di alleato (e subordinato) del duca di Savoia Vittorio Amedeo II. Si scontrarono di nuovo durante le prime fasi della Guerra di Successione Spagnola (1702-1714) fra Veneto e Lombardia. Questa volta Eugenio di Savoia in più occasioni prevalse sull’esercito franco-spagnolo guidato dal Catinat, riuscendo a eluderne la stretta “marcatura”, ad accedere con le sue truppe alla pianura padana e, varcando l’Adige e il Mincio, a spingersi verso il ducato di Milano nonostante l’opposizione francese.
{/xtypo_quote_right}
In cerca di una rivalsa, nel 1693 il duca di Savoia riesce a convincere i riluttanti alleati ad attaccare Pinerolo, il nido francese in Italia.
La città, conquista nel 1630 dai Francesi guidati dallo stesso Cardinale Richeliu, primo ministro di Luigi XIII, era stata potentemente fortificata per la sua importanza strategica, preziosa testa di ponte verso la pianura padana e dolorosa spina nel fianco del dominio sabaudo. Nel corso di cinquant’anni la struttura edilizia della parte più alta della città era stata sconvolta per far posto a bastioni, cortine e caserme. Ne era nata una munita cittadella, articolata su tre piani di terrazzamenti bastionati. Anche il maresciallo Vauban visitò la piazza e seguì e ispezionò i lavori in varie riprese. Pinerolo divenne “fortezza reale di primo rango”.
Con 20.000 uomini, in gran parte imperiali, austriaci, spagnoli e persino inglesi, il 27 luglio 1693 Vittorio Amedeo II porta l’attacco al forte esterno di Santa Brigida, eretto sull’omonimo colle per meglio difendere la città dall’alto. Dopo 15 giorni di bombardamenti durissimi, sottoposta a un diluvio di ferro e di fuoco, la piccola guarnigione francese (450 uomini) è costretta a ritirarsi in città e fa saltare il fortino. È il 14 agosto: l’assedio è già costato agli alleati quasi 5.000 uomini fra morti, feriti e disertori (numerosissimi!); per anni l’altura sarà chiamata “la collina del macello”.
Gli attacchi del Duca possono ora concentrasi sulla munita cittadella, le mura e l’abitato stesso di Pinerolo.
Arrivano i soccorsi francesi
Ma il Re Sole vigila sui suoi territori d’Oltralpe. Allarmato dalla caduta del forte e temendo di perdere anche la città, invia un’armata di 18.000 uomini a soccorso della piazzaforte assediata. A marce forzate il corpo scelto della Gendarmerie abbandona la Germania per raggiungere il Piemonte.
Il Catinat fa affluire i rinforzi in val di Susa, nei pressi di Bussoleno. Il 28 settembre scende con le sue truppe da Fenestrelle attraverso il colle delle Finestre (il campo, in comoda posizione per controllare sia Pinerolo che la val Susa, è noto ancor oggi come Prà Catinat) e con 40.000 uomini muove verso la pianura. Il 30 settembre è ad Avigliana. Si propone di attaccare l’esercito sabaudo mentre è impegnato nell’assedio o di costringerlo ad abbandonarlo. Un distaccamento di cavalleria viene mandato a saccheggiare le splendide dimore sabaude di Rivoli e Venaria, la “piccola Versailles”, già altre volte risparmiata dal Re Sole.
Sorpresi dal rapido movimento e dall’entità delle forze nemiche in arrivo, il 2 ottobre Piemontesi e alleati decidono di abbandonare l’assedio di Pinerolo e muovere verso nord per non vedersi tagliate le linee di rifornimento. Si pensa di intercettare i Francesi al passaggio del fiume Sangone. Ma il Catinat ha già oltrepassato Rivoli e il suo esercito, ormai fra Beinasco e Rivalta, tallona da presso il nemico. Vittorio Amedeo II, che non aveva escluso di ripiegare su Torino evitando lo scontro, si rende conto che ora è impossibile.
La sera del 3 ottobre, fra Piossasco e la borgata Gerbole di Orbassano, i due eserciti sono vicinissimi, ma non possono vedersi a causa di una fitta nebbia autunnale. Catinat occupa l’altura con i ruderi del vecchio castello di Piossasco assicurandosi un luogo di osservazione privilegiato.
La battaglia: 4 ottobre 1693
La mattina del 4 ottobre 1693, in una zona pianeggiante coperta di vigne e boschetti, fra la bealera Duranza e il torrente Chisola, su di un fronte di 4 chilometri circa, si svolge la sanguinosa battaglia.
Il Duca schiera sulla destra, sotto il suo comando diretto e quello del cugino, il principe Eugenio di Savoia la maggiore parte della cavalleria e la fanteria piemontese e imperiale; nel corpo centrale di battaglia troviamo anche i contingenti valdesi e protestanti. L’ala sinistra è affidata agli Spagnoli guidati dal marchese di Leganes, governatore di Milano e dal Louvigny, che si era comportato in modo discutibile nella battaglia di Staffarla. Su questo lato non vi sono difese naturali e le truppe alleate approntano un trinceramento con graticci e barili di terra.
Verso le otto del mattino, diradatasi la nebbia, i due eserciti si fronteggiano e si osservano. Il Catinat intuisce che il principale attacco nemico sarà indirizzato sulla sua sinistra in quanto gli alleati mirano a raggiungere Orbassano e rinforza quel fianco con la Gendarmeria.
Il fuoco delle artiglierie comincia verso le nove e si prolunga per circa due ore provocando gravi perdite a entrambe le parti. Sono quindi i Francesi a partire all’attacco, forti del maggior numero.
Sulla destra le truppe alleate resistono bene e contrattaccano con successo, tanto che si fa strada una speranza di vittoria. Ma sulla sinistra dell’esercito ducale la situazione è ben diversa! Su questo lato più aperto, i Francesi, schierati su di un fronte più esteso, possono attaccare di fronte e sul fianco le truppe alleate. Dopo i vuoti aperti dalle cannonate, la cavalleria francese fa strage. Chiesti invano rinforzi, colpita anche nei suoi comandanti, la prima linea spagnola ripiega e si sbanda, mentre la seconda non riesce a coprire efficacemente i vuoti creatisi. I Francesi possono così avanzare in forze verso il centro e la destra dell’esercito alleato alle spalle dei combattenti e minacciando di circondarli.
Dopo una resistenza durata più di tre ore, agli alleati non resta che ritirarsi, spezzando l’accerchiamento. Alcune cariche di cavalleria riescono a contenere lo slancio francese (e persino a catturare qualche bandiera al nemico!) e permettono un ripiegamento relativamente ordinato verso Moncalieri. I Francesi, provati anch’essi dalla durezza dello scontro, rinunciano all’inseguimento.
Contrastanti le valutazioni sulle perdite. Secondo le relazioni ufficiali ci furono 5.500 fra morti, feriti prigionieri nel campo alleato e 6/7.000 tra i Francesi; secondo altri autori, 8.000 sarebbero state le perdite fra gli alleati, la metà quelle francesi.
Infine un chiarimento circa il luogo dello scontro.
La battaglia è nota con il nome che le dette il Catinat, che al Castello della Marsaglia si trattenne per alcuni giorni dopo lo scontro. Marsaglia deriva da “marcita”, e indica un prato irrigato con un velo d’acqua sovrastante per consentire più frequenti tagli dell’erba. Nel nostro caso indica anche una precisa località vicina al luogo dello scontro, ma che da esso non fu toccata. Pertanto è più corretto definirla “battaglia di Orbassano”, nel cui territorio effettivamente si svolse.
I Dragoni furono tenuti di riserva durante la battaglia e utilizzati per coprire la ritirata delle truppe ducali. Dicono le cronache del tempo che essi combatterono con tale ardore che la Gendarmeria francese fu messa per due terzi fuori combattimento e 5 battaglioni di fanteria furono fatti a pezzi dalla cavalleria alleata e in maggior parte dai Dragoni di S.A.R.
Testo a cura di Paolo Di Marco
N.B: tutti i pezzi sono stati dipinti da Davide Chiarabella e fanno parte della collezione di Renato Scuterini (Ancona).