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Gli indiani delle praterie – Parte 2 – Masterclass

CONOSCIAMO PIU’ DA VICINO LE POPOLAZIONI INDIGENE DELLE GRANDI PIANURE DELL’AMERICA DEL NORD

La guerra era l’occupazione principale dei pellirosse, il loro passatempo, il loro  lavoro, e il loro divertimento, nessun’altra attività era più importante.
I pellirosse spesso combattevano per difendere i loro territori di caccia o per razziare i cavalli dei loro vicini, ma mai per il solo gusto di uccidere o di fare schiavi, raramente essi rientravano da una scorreria con dei prigionieri.

La ferocia non era assolutamente considerata una virtù, infatti torturare o uccidere il nemico non erano azioni che accrescevano il valore di un guerriero.
I pellirossa andavano in battaglia nella speranza di dar prova del proprio valore e quindi di accrescere la propria fama di combattenti, in quella società in cui l’individuo aveva un peso preponderante, era l’unico modo per elevare il proprio rango.
Un guerriero indiano dava la più alta dimostrazione di coraggio avvicinandosi ad un nemico vivo al punto da poterlo colpire con le proprie mani, con un bastone o con una lancia;

in confronto ad un tale atto di coraggio, uccidere un nemico con arco e freccia o con un fucile era considerata un’azione di minor conto.
Era, pertanto, considerato un valoroso colui che sfidava il nemico con una faccia a faccia, che si misurava in uno scontro diretto all’ultimo sangue, dimostrando in quelle circostanze la propria superiorità.
Il prestigio ed il rango di un guerriero erano determinati dal numero di “colpi” che era riuscito ad infliggere ai propri avversari; ciò poneva gli uomini della tribù in continua competizione tra loro.

Esistevano, quindi, delle rigide norme che regolavano l’attribuzione dei colpi nel duello, che venivano generalmente inferti con un bastone speciale.

Esisteva una precisa valutazione per ogni atto di valore compiuto da un guerriero in battaglia, che tuttavia variava da tribù a tribù.

Per i “Piedi Neri” togliere un fucile ad un nemico era l’azione più meritevole;  seguiva subito dopo in ordine di importanza la conquista dello scudo, del copricapo o della camicia dell’avversario, mentre sottrarre il cavallo al nemico era un’impresa di poco conto.

Le ferite avute in battaglia contribuivano ad accrescere il prestigio del guerriero, tuttavia per i “Crow” era più meritevole colui che salvava il compagno ferito.

Le piume costituivano un elemento indispensabile al completamento della tenuta di un guerriero. Oltre ad avere un ruolo decorativo, esse segnalavano le imprese di guerra di colui che le portava.

1 – E’ stato ferito in combattimento
2 – Ha inferto 5 colpi agli avversari
3 – Ha ferito o ucciso un avversario
4 – Ha ucciso un nemico
5 – Ha ucciso un nemico e preso il suo scalpo
6 – Ha inferto 4 colpi ai suoi avversari
7 – Ha tagliato la gola ad un nemico
8 – E’ stato ferito più volte

Speciali onori venivano riservati a quel capo che rientrava vittorioso al villaggio dopo una battaglia o un’incursione senza aver riportato perdite tra i suoi uomini, solo in questo caso veniva tributato un riconoscimento collettivo.
Le spedizioni di guerra erano sempre condotte da piccoli gruppi, specie se si trattava di razziare cavalli ai vicini, e solo più tardi, nella guerra contro l’esercito americano, l’intera tribù o addirittura più tribù si univano formando un vero e proprio esercito di pellirosse.
Anche in questo caso era l’atto di valore individuale a contare. La figura del condottiero o stratega era sconosciuta, ogni capo guerriero conduceva i suoi uomini allo scontro dopo di che ciascuno agiva in piena libertà.

Le armi tradizionalmente impiegate dagli indiani delle praterie erano le più adatte per il combattimento a cavallo; si trattava di asce, mazze, lance, archi con faretre capaci di contenere fino a 100 frecce.
A questo proposito può essere interessante far notare che delle esigenze equestri degli indiani tenevano conto anche i trafficanti d’armi che si preoccupavano di modificare i fucili  (accorciandoli) per offrire un’arma più maneggevole e meno ingombrante a chi combatteva a cavallo.

Nonostante la diffusione delle armi da fuoco, solo il fucile a ripetizione, il famoso Winchester, riuscì a rimpiazzare l’arco; essendo quest’ultimo un’arma che ogni indiano era capace di utilizzare in maniera straordinaria (al punto di scoccare ben otto frecce in rapidissima successione sulla stessa traiettoria!).Lo scudo tondo era il tipico strumento di difesa del guerriero; esso veniva realizzato in cuoio di bufalo ed aveva una doppia funzione: protettiva e magica.
Naturalmente era del tutto inefficace contro i proiettili, ma offriva una certa protezione dalle armi tradizionali e una certa sicurezza psicologica.
In effetti sullo scudo venivano riprodotti quei simboli magici che dovevano rendere il guerriero invulnerabile, infatti, lo scudo veniva considerato un oggetto sacro e conservato in una sua apposita custodia.

Nella vita degli indiani l’elemento magico aveva un peso determinante.

Secondo le loro credenze, gli uomini eletti entravano in contatto con misteriose divinità o spiriti, i quali rivelavano loro attraverso i sogni e le visioni come combattere o cacciare.

IL TOMAHAWK
Normalmente si ritiene che il Tomahawk fosse la tipica ascia da guerra degli indiani; in realtà con questo nome essi definivano qualsiasi arma o utensile provvisto di manico, che servisse per tagliare, battere, colpire.
La parola viene dal linguaggio degli Algonchini, che risiedevano in una vastissima zona del continente Nord Americano, compresa tra gli attuali USA e il Canada, e che si estendeva da un oceano all’altro.
Gli Arapaho, i Cejenne ed i Piedi Neri, tanto per fare degli esempi, appartenevano alla grande famiglia dei popoli di lingua Algonchina.
La parola Tomahawk si diffuse in tutto il Nord America, e restrinse il suo significato ad un arnese simile alla nostra ascia, che come tale veniva usato, per tagliare gli alberi, lavorare il legno, ecc…; solo in caso di necessità il Tomahawk era usato come arma da guerra.
In origine era molto più diffusa come arma la mazza, oppure semplicemente un bastone appesantito all’estremità opposta all’impugnatura.