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Pieve al Toppo – 1288 – Masterclass

L’idea di questa scenetta ha preso corpo lentamente leggendo il bellissimo libro Gli eroi di Campaldino (F. Canaccini, Ed. Scrasamax).

Il testo ripercorre la vita e le gesta di alcuni protagonisti della vita politica e militare della seconda metà del 1200, tutti accomunati dal tragico epilogo del 1289, quando l’esercito guelfo, con a capo Firenze, e quello ghibellino, guidato da Arezzo, si affrontarono nella piana di Campaldino.

Il testo è corredato da una serie di foto di figurini e scenette realizzate da Mario Venturi che riproducono magistralmente ciascuno dei personaggi descritti nel libro.

Tra questi vi sono Bonconte da Montefeltro e Guglielmo dei pazzi di Valdarno (Guglielmo Pazzo), due tra i più temuti e valorosi capitani di parte ghibellina.

Bonconte e Guglielmo moriranno nella battaglia (la morte del Montefeltro è peraltro descritta da Dante nel V canto del purgatorio e lo stesso Dante partecipò allo scontro) comportandosi comunque con valore.

Bonconte, pur presagendo la sconfitta, non esitò a guidare la carica dei cavalieri che dovevano sfondare il fronte avversario (feditori).

Guglielmo scambiò le sue armi con quelle dell’anziano zio, il vescovo di Arezzo nel tentativo, vano, di proteggerlo attirando su di sé i tiri avversari.

Mi piaceva però l’idea di rappresentare questi due amici e compagni di tanti fatti d’arme, in una situazione diversa da quella che segnò la loro fine. E qui veniamo all’episodio a cui si riferisce la scenetta.

L’inizio delle ostilità tra Firenze ed Arezzo che portò poi allo scontro campale del 1289 viene fatto risalire a due anni prima, quando un’alleanza dei grandi capi ghibellini di Arezzo con il vescovo Guglielmino degli Ubertini, e con lo stesso Bonconte, portò alla cacciata dei guelfi dalla città.

Firenze decise di entrare in guerra contro Arezzo ed il 1° giugno un esercito guelfo, dopo avere devastato il contado, pose sotto assedio la città.

Gli aretini furono costretti a subire diversi episodi di scherno ma l’assedio alla fine fallì e l’esercito guelfo decise di ritirarsi.

Il contingente senese (Siena nel frattempo si era alleata con Firenze), comandato da Ranuccio di Peppe Farnese signore di Maremma, separatosi dal grosso delle forze costituite dai fiorentini e rifiutando la loro scorta, si avviò lungo l’unica strada che collegava allora Siena con Arezzo e che aveva un passaggio obbligato. Si trattava di una lingua di terraferma, unico guado sicuro tra le paludi melmose formate dal Chiana, chiamato passo della Pieve al Toppo.

I capitani aretini, Bonconte e Guglielmo in testa, volendo vendicarsi delle offese subite durante l’assedio, seguirono l’esercito guelfo e di notte, passando per vie secondarie e per le paludi, precedettero i senesi e si nascosero tra i canneti e la boscaglia della Chiana in prossimità del guado, attendendo l’avvicinarsi delle truppe avversarie: 3000 fanti e balestrieri avanti, con le balestre caricate sui muli, o con le corde allentate e 400 cavalieri a seguire, con gli scudi legati ai cavalli e le lance portate dai servi.

Non si aspettavano certo un attacco.

Gli aretini, 2000 fanti e 300 cavalieri, rivelandosi all’improvviso e sottoponendo gli avversari a ripetuti lanci di frecce e verrettoni crearono un fatale scompiglio e disorientamento tra gli uomini della Balzana, sottoposti poi a ripetute cariche dai cavalieri guidati da Bonconte e Guglielmo.

Lo stesso Ranuccio, mentre tentava di proteggere con due ali di cavalieri il suo esercito, fu colpito a morte ed assieme a lui persero la vita 300 nobili di Siena e della Maremma per un bilancio finale pesantissimo per i senesi.

L’evento suscitò grande sconcerto tra le forze guelfe e risollevò le sorti dei ghibellini ed i due capitani saranno stati acclamati e festeggiati a lungo per la vittoria conseguita.

La coalizione guelfa però si riorganizzò presto mettendo in campo un grosso esercito che un anno dopo, a Campaldino, avrebbe inflitto una cocente sconfitta agli avversari.

La scena vuole rappresentare i due cavalieri mentre studiano il campo di battaglia o mentre osservano l’avvicinarsi del nemico.

I due figurini usati sono della ditta Pegaso.

Quello scelto per Bonconte (PE54098, Gold Box) è stato usato praticamente come tale, utilizzando, tra le due teste disponibili, quella con l’elmo, al quale è stata aggiunta la cresta, prelevata da un altro kit.

Per Guglielmo ho usato il kit PE54152, al quale è stata sostituita la testa.

Quella originale è stata segata, in quanto fusa con il tronco, e rimpiazzata con un elmo (sempre Pegaso), rifacendo con Milliput la cotta di maglia rovinatasi nell’operazione.

Sempre con Milliput è stata fatta la cresta. Ho preferito riprodurre i due cavalieri con l’elmo calzato, nell’imminenza dello scontro.

Entrambi i pezzi hanno le vesti mosse dal vento e ben si associano. Quindi, dopo le solite numerose prove ho composto la scena, tenendo conto del vento, delle dimensioni della basetta e degli altri accessori presenti (tronco e lancia).

Bonconte: il figurino usato indossa un’armatura abbastanza innovativa per il periodo a cui si riferisce l’evento; proprio in quegli anni infatti i cavalieri cominciavano a rafforzare la protezione fornita dalla sola cotta di maglia con ulteriori protezioni per gambe e braccia fatte inizialmente di cuoio bollito ed in seguito di metallo.

Anche gli elmi cambiano, passando dai tradizionali elmi cilindrici a quelli terminanti in forme troncoconiche od a quelli ogivati con visiera mobile.

E’ ragionevole pensare che un cavaliere del calibro del Montefeltro potesse permettersi, in quanto ricco e che faceva della guerra il proprio mestiere, quanto di meglio poetesse offrire il mercato. Per questo ho scelto il grande elmo ogivato, lucidato, così come la cotta di maglia, secondo le solite modalità che ho già descritto in precedenti articoli (link).

Poi, per limitare l’eccessiva modernità dell’armatura rispetto all’epoca dei fatti, ho scelto di non riprodurre le protezioni in metallo, bensì in cuoio. Questo poteva essere anche colorato, così per le protezioni delle braccia ho usato i colori delle armi di Bonconte, giallo e blu, mentre quelle delle gambe sono in cuoio naturale.

La cotta d’arme (strisce gialle e blu diagonali) non è stata riprodotta per esteso, ma ho preferito rappresentarla in uno scudo ricamato sul fronte e sul retro della veste.

La stessa è stata infine replicata sullo scudo, sul pennoncello della lancia e sulla cresta dell’elmo.

Guglielmo: ritengo che l’elemento più accattivante del figurino sia l’aspetto altero, fiero e minaccioso dato dalla posa ed esaltato dalla lieve angolazione del capo e dalla cresta.

L’elmo usato è del tipo a staro, con la parte superiore troncoconica, più “germanico” rispetto a quello di Bonconte.

L’elmo è stato poi colorato, naturalmente secondo le armi di Guglielmo (rosso e giallo), poiché molti cavalieri erano soliti farlo, per protezione dalle intemperie e per ribadire la casata di appartenenza.

La veste è stata dipinta riproducendo la araldica dei Pazzi di Valdarno, riportata anche sullo scudo.

Anche per lui le protezioni di gambe e braccia sono in cuoio ed anche per lui vale lo stesso discorso fatto per Bonconte: un cavaliere del suo livello si sarà sicuramente dotato di un equipaggiamento all’ultimo grido.

Per l’ambientazione ho usato un rametto preso in giardino per l’albero e del muschio, dipinto ad aerografo con verdi vari, per l’erba.

Marco Berettoni