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Lo Spadaccino Papale – Masterclass

Un po di storia

Siamo nel 1375 soli tre anni prima dell’elezione ad Avignone (Francia) dell’antipapa Clemente VII, dando vita al grande scisma d’occidente che durerà dal 1378 al 1417.
Con il papa e la curia ad Avignone, avrebbero avuto campo libero, in periferia i signori locali, e a Roma, la grande nobiltà.
Per porre rimedio ad una situazione a dir poco pericolosa per l’integrità e gli equilibri dello Stato Pontificio venne incaricato il Cardinale Albornoz .
Il cardinale Albornoz, aveva ricevuto da papa Innocenzo VI (1352 – 1362) il compito di ricostruire il patrimonio di S. Pietro, messo alla prova dalla tensione con Filippo IV il “bello”, iniziò a portare a compimento la sua opera a Roma con abilità consumata ristabilì l’autorità papale sui territori della Romagna, delle Marche e dell’Umbria, che i signori locali s’erano attribuiti; di costoro alcuni furono mantenuti, altri destituiti.

A proposito dei territori pontifici, possiamo qui ricordare alcune splendide fortezze che dovevano garantire sicurezza ai confini dello stato papale.

In particolare il cardinale Albornoz all’inizio del succitato incarico ricevuto da Avignone da papa Innocenzo VI nel 1358 fece porre la prima pietra alla rocca di Spoleto.
La rocca di Spoleto era solo il primo tassello da porre a difesa dei confini papali, ma molto restava ancora da fare e il futuro continuava ad avere contorni quanto mai incerti.

Sulla carta i mandati papali gli avevano conferito un potere enorme, nella realtà la difficile situazione dell’Italia centrale e la stessa politica oscillante dei papi avevano sovente messo in pericolo lo scopo della sua missione, ovvero la ricostruzione dello stato pontificio.

Prima di lui il grande fondatore era stato il papa Innocenzo III, che aveva esteso la sua influenza a diverse città comunali, creato province, nominato funzionari e aveva, inoltre, rivendicato, acquistato e ricevuto in dono numerosissime terre.

Una costruzione che il soggiorno ad Avignone vanificò quasi del tutto, tanto che al tempo di Albornoz lo stato della chiesa si poteva dire praticamente dissolto in una miriade di piccole signorie, domini feudali e autonomie cittadine.

Di fronte a tale sfacelo, colui che sarebbe poi stato definito “il creatore della monarchia pontificia” (appunto il cardinale Albornoz), non si trovò tuttavia impreparato: la pratica diplomatica, la dottrina di canonista e la conoscenza delle arti belliche che aveva maturato presso la corte del re di Castiglia lo rendevano l’uomo adatto per portare a termine un’impresa apparentemente impossibile, certo difficilissima.

Legato “dall’animo grande” ma “dalla fonda vuota”, come lo descrive il cronista Matteo Villani riferendosi agli scarsissimi mezzi finanziari di cui disponeva, attuò una strategia estremamente diversificata, senza rigidità né schematismi. A seconda delle circostanze, infatti, il cardinale Albornoz adottò di volta in volta soluzioni diverse, dal diritto alla violenza, dalla diplomazia alla corruzione. Dal punto di vista giuridico ricorse di frequente a sanatorie e concessioni volte a sistemare usurpazioni e ribellioni, ma non dimenticò di varare, quando gli fu possibile, una raccolta unica di leggi la famosa COSTITUTIONES AEGIDIANE (Fano 29 aprile – 1 maggio 1357) che rimase in vigore fino al ciclone napoleonico della fine del XVIII secolo.

Normalmente cercò di procedere per accordi e sanatorie, ma non disdegnò all’occorrenza di ricorrere alle armi, potendo avvalersi di soldati come il soggetto proposto, ma soprattutto si dedicò con convinzione a rafforzare le conquiste fatte tramite la costruzione di rocche e castelli.

Sorsero, perciò, altre fortificazioni come quelle di Narni, Assisi e Spoleto, che con Ancona, Foligno, Todi, Montefalco e Spello venivano a formare una vera spina dorsale della difesa.

L’operazione che vide all’opera architetti del calibro di Matteo Gattapone da Gubbio e Ugolino di Montemarte, venne in parte vanificata dai maneggi di Barnabò Visconti e dal malumore dei pontefici, che più volte richiamarono Albornoz destinandolo temporaneamente ad altri incarichi e che provocarono sovente la perdita delle città da poco conquistate.

Tuttavia, nonostante gli alti e bassi della sua missione, il cardinale riuscì ugualmente ad assistere all’evento che ne segnò il naturale compimento: il ritorno di papa Urbano V in Italia il 4 giugno 1366.

Non più di tre mesi dopo Albornoz moriva a Viterbo.

Le cose però non proseguirono nella direzione indicata dal cardinale: già nell’aprile del 1370 il papa abbandonava Roma e cominciava a girovagare per quelle rocche e quei castelli che Albornoz gli aveva approntato, lasciando nel caos il governo dello stato pontificio.

Sotto il suo successore, Urbano VI, il grande scisma di Occidente complicò ulteriormente le cose, che non migliorarono neppure dopo la riunione della Chiesa sotto Martino V.

In quel periodo persino Roma era diventata “per l’assenza del papa come una terra di vaccai, perché si tenevano le pecore e le vacche perfino dove oggi sono i banchi dei mercanti” come racconta Vespasiano da Bisticci.

Alla disgregazione dello stato pontificio posero rimedio solo le energiche azioni di Alessandro VI, Cesare Borgia e Giulio II della Rovere: ne rimane tutt’oggi testimonianza nelle rocche di Civita Castellana, Nettuno e Ostia nella quale idealmente abbiamo collocato questo bellissimo pezzo.

Il Soldatino

Il pezzo si presenta già completo e devono essere aggiunti solamente gli accessori.
Questo soldato di fanteria dello stato pontificio del 1375  ha a disposizione le più avanzate (per l’epoca) soluzioni in termini di armamento, anche se essendo un fante leggero, non può indossare protezioni alle gambe; a questo scopo si affida perciò al grande scudo ovale.
Il fante presenta un interessante elmo in metallo con una forma a falde laterali e protezione nasale abbastanza caratteristica per l’epoca.
Sul retro dell’elmo e del brigantino si può vedere una cinghia in pelle con relativa fibbia che lega l’elmo al corpetto così da non perdere l’elmo stesso in azione.

Sotto l’elmo il fante indossa la cotta di maglia a protezione della testa che arriva a distendersi sino a coprire le spalle del soggetto per poi essere sormontata dal brigantino (il corpetto).

Relativamente al brigantino intravediamo la sezione realizzata con strisce di diversi strati di tessuto, mentre all’esterno non vediamo la trapuntatura perché la finitura e data da un tessuto rosso esterno damascato e borchiato.
L’elemento che contraddistingue il pezzo in questa versione di “soldato del cardinale Albornoz” è la brigantina rossa con damascatura, è evidente che non c’è alcun vincolo a riguardo, essa poteva presentarsi anche nella tradizionale versione in cuoio bollito e torchiato, versione questa che “generalizza” il pezzo collocandolo in una più generica connotazione da “fante italiano” limitando la caratterizzazione all’araldica dello scudo.

Sulla zona delle spalle il brigantino presenta dei rinforzi in cuoio borchiato.

Sotto il brigantino il fante indossa una cotta di maglia, divisa in due parti: la parte che interessa testa e spalle e il corpetto di maglia vero e proprio al di sotto del quale abbiamo il tradizionale camice in tessuto povero.

I pantaloni sono in tessuto protetti nella zona degli stinchi da dei calzetti alti (con risvolto) dello stesso tessuto del camice.

Le scarpe sono in pelle con suola in cuoio rigido.

Protezioni per le braccia:
Guanti lunghi in pelle e rinforzati con cuoio bollito e modellato
Sottile strato di cuoio bollito a protezione della parte superiore del braccio Protezione multipla in cuoio bollito e pelle borchiata sagomato per il gomito e l’avambraccio.

L’interno dello scudo mostra una struttura in legno ricoperta sempre in cuoio.

L’armamento consiste in un pugnale portato sulla parte destra, una spada (stocco) e una corta picca decorata con i colori papali (giallo e rosso).

Il fodero del pugnale è in cuoio rigido così come il fodero dello stocco sono retti al fianco da una cinta che poteva essere anche borchiata.

La basetta in dotazione ritrae il fante vicino ad un molo a presidio dell’approdo (litorale laziale o fiume Tevere).

La pittura del pezzo è stata realizzata con colori acrilici ad eccezione del volto realizzato con le tradizionali tecniche di pittura ad olio più volte descritte in queste pagine.

Tavolozza colori


  • Elmo: metallo brunito
  • Guanti e parti in cuoio: color cuoio
  • Cotta di maglia: metallo brunito
  • Corpetto: rosso con damascato a piacere (meglio se giallo)
  • Pantaloni: colore a piacere
  • Calzettoni: bianchi o beige
  • Scarpe: color cuoio
  • Lancia: decoro a spirale giallo rossa sull’asta, punta color metallo
  • Spada e pugnale: fodero color cuoio, parti a vista della spada e del pugnale color metallo brunito e oro, impugnatura spada cuoio chiaro, impugnatura pugnale color avorio.
  • Fibbie e borchie: dorate
  • Cinta: color cuoio chiaro
  • Scudo: esterno rosso con araldica papale gialla, interno color cuoio.

Articolo: Carcione Franco
Scultore: Borin Stefano
Pittura: Stella Elio
Modello: MASTERCLASS

Tutte le informazioni storiche sono tratte dal Cd-Rom allegato al pezzo “Spadaccino Papale” in versione cofanetto della ditta MASTERCLASS.